OCCHI GETTATI
Un de-coupage, 34 anni dopo
testo, ideazione scenica e regia Enzo Moscato

scena e costumi Tata Barbalato
selezione musicale Dimomos

con

Benedetto Casillo,

Giuseppe Affinito,

Salvatore Chiantone,

Tonia Filomena,

Amelia Longobardi,

Emilio Massa,

Anita Mosca,

Enzo Moscato,

Antonio Polito

assistente alla regia Giuseppe Affinito

fonica Teresa Di Monaco

sarta Clara Varriale

allestimento Enrico de Capoa, Simone Picardi

organizzazione Claudio Affinito

produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale,
Compagnia Teatrale Enzo Moscato / Casa del Contemporaneo

Considerato già nel 1986, anno del suo debutto scenico, testo-chiave per addentrarsi nel variegato universo espressivo di Enzo Moscato, ‘Occhi Gettati’ si ripresenta oggi in tutta la sua vivezza esplosiva di parole ed emozioni.

Non un monologo, piuttosto un polilogo, un polittico di voci, una sorta di lungo e rapsodico canto sospeso tra il tragico, il comico, il grottesco, il surreale. Che, se ha i suoni della parlata napoletana, tradisce e trascende, allo stesso tempo, qualsiasi luogo o circostanza ispirativa, per obbedire, invece, solo all’ Assoluto Universo, senza referenzialità specifiche, di ciò che viene detto Teatro.

Il mondo che racconta Enzo Moscato è quello della capitale del Sud, di quella Napoli straziata e straziante, disperata e disperante, nella liricità, nella trasgressione, nella violenza. E nella nostalgia. “Città, come si dice, del calore, dell’invettiva indolente, della fine dicitura e, perciò stesso spazio dell’azzeramento di tutte queste cose: di ogni truce buon senso, come di ogni stantio luogo comune”.

“Occhi gettati l’ho scritto e messo in scena oramai più di 30 anni fa – ricorda Enzo Moscato.
A distanza di tanto tempo, se dovessi definire, ancora oggi, cos’era – cos’è – e cosa voleva significare, per me e per il teatro, non saprei dire. Certo è che quando lo scrissi, venivo già da sei/sette anni di scrittura teatrale, diciamo così, canonica, ortodossa, e che avevo già vinto uno dei premi – forse il premio più importante in Italia – di drammaturgia; avrei potuto, dunque, riposare sugli allori e invece mi sentii in obbligo di rimettere tutto in discussione, per quel che mi riguardava. Di ricominciare daccapo, e, se possibile, con un altro e più radicale linguaggio scenico che era, per me, quello della poesia pura. Scrissi allora questa sorta di soliloquio infinito in versi, che è Occhi gettati: che potremmo definire, in breve, una sorta di picassiana guernica, una sorta di grande incendio, di grande rogo, di grande olocausto, del discorso tradizionale sul teatro, e su Napoli, e su me, poiché noi tre siamo profondamente la stessa cosa. Nel bene e nel male, siamo la stessa. Di che parla quest’odierno Occhi gettati. Un de-coupage, 34 anni dopo? Di tutto e di niente. Dei miei fantasmi, reali o immaginari. Del balletto di questi fantasmi, che è il balletto quaresimale e carnevalesco di me stesso e della città di cui sono carne e sangue”